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Una vita raccontata attraverso i cambiamenti di una città amatissima, omeglio: una città raccontata attraverso il pretesto di un'autobiografia, quella di Francesco Cardelli, nato allo scoppio della Seconda guerra mondiale e cresciuto in una Roma che poteva essere allo stesso tempo aristocraticae popolare, cinica e bonaria, obbediente alla Chiesa eppure già aperta allacontrocultura di sinistra. Da una parte la « scola de preti », i riti familiari, ilCircolo della Caccia, le udienze papali, gli scout, i rosari serali; dall'altra ilFolkstudio, i primi cinema d'essai, il teatro delle cantine: luoghi trasgressivi, eccitanti per i figli di quella Roma ancora provinciale e bigotta cheandavano così scoprendo il blues, il cinema d'autore, le avanguardie. I dettagli, soprattutto linguistici, sono registrati perché resti una tracciadella città che non c'è più: i richiami degli ambulanti, i menù delle osterie, i giochi dei bevitori, i proverbi, le tante parole di un romanesco che nessuno parla più (la fojetta per versare il vino, la giannetta che soffia danord), i cibi dimenticati (le fusaje, i mostaccioli), le filastrocche. E così le tradizioni dimenticate: gli zampognari con le « cioce » ai piedi, la « Befana del vigile », le corse dei cavalli « barberi » in via del Corso, la banda musicale al Pincio; e i mestieri scomparsi, come il bottijaro, il robbivecchi, l'ombrellaroo l'« uomo del sacco ». Poi c'è la piccola storia: le rare memorabili nevicate, Mister Okay che situffa nel Tevere, le Olimpiadi del '60 con gli atleti a zonzo per via del Corso, Bob Dylan al Folkstudio, Sartre e Beauvoir alla birreria Santi Apostoli, Liz Taylor intravista nel pubblico al concorso ippico di piazza di Siena. E ovviamente ci sono le strade, i cui nomi evocano « una piccola cittàda libro di fiabe », i quartieri, i negozi ormai chiusi, i mercati, tutta unatopografia che tiene insieme, nel lutto dei tanti irreversibili cambiamenti, passato e presente.