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Ingeborg Bachmann (1926-1973) trascorse in Italia quasi la metà della sua vita (1953-1973) tra Ischia, Napoli, Roma. La sua scrittura poetica è striata dai segni di un'Italia ctonia: l'impronta (soprattutto acustica) di questo luogo sotterraneo si rivela nelle forme e nei ritmi. La sua via di "fuga verso sud" è ricerca dell'umano dopo il disastro, dopo la guerra e la devastazione, ma è di fatto una discesa agli inferi. Bachmann consegna al lettore una terra sismica, popolata di animali pericolosi e mordaci - vipere, tarantole - oppure da esseri mobili, anfibi, capaci di vivere in molti regni (uccelli, salamandre, formiche, lucertole). Una terra scossa da boati di terremoti e vulcani, e pure dal canto di creature inquietanti, fragili e oltreumane, sublimi eppure sempre esposte allo scherno altrui: come per esempio Maria Callas, Gaspara Stampa, e tutte le eroine dell'Opera. Chi s'incammina per quel meridione si espone al "morso", allo choc che attraverso un dolore acuto inizia a un modo-altro del vedere e del sentire. In questo senso la ricerca di Bachmann - nel mettere in scena voci, danze, situazioni della ritualità meridionale, eventi popolari collettivi - si affianca agli studi antropologici di Ernesto de Martino; mentre la sua attenzione per le figure "ctonie", emblematiche come Maria Callas, la rivela compagna di strada e precorritrice di Pier Paolo Pasolini (Callas fu una indimenticabile Medea nel suo film del 1969). Il libro è organizzato in quattro movimenti musicali. L'andamento vuole comporre voci ed elementi diversi secondo una scansione che lasci anche a chi legge spazi ritmici e pause di riflessione su una materia fluida.