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"Se il ricorso della data è più di una semplice coincidenza - e per quanto mi riguarda ne sono certo - se ne deve arguire che la strana donna comparsa per due volte lungo il viale nel giorno della vigilia dei Morti, o era un fantasma o, cosa più probabile e preoccupante insieme, una donna in carne ed ossa invasata da una maliarda". Edith Wharton fu scrittrice di trame di spettri che appaiono nel lucore lunare, su di un ponte inumidito dal freddo notturno. Sagome oltretombali o esseri umani invasati, posseduti da ossessioni disperanti, costretti a vagare notturni tra i fumi ammorbati di una città ammorbata? Nel porre l'interrogativo la Wharton dichiara la propria concezione del fantastico come il mezzo narrativamente più adeguato per raccontare il proprio tempo malato (la fine del XIX secolo). Tant'è che l'autrice continua scrivendo che "la storia della stregoneria abbonda di casi del genere" e che un simile messaggero femminile, "inviato dalle potenze che governano queste manifestazioni", potrebbe aggirarsi tra le vie rabbuie per "invitare uomini e donne a qualche raduno di mezzanotte, in qualche luogo solitario dei dintorni". Non si tratta d'un caso isolato tant'è che "chiunque abbia la curiosità di assistere ad un sabba ben presto vedrà la propria curiosità trasmormarsi in desiderio" ed il desiderio tramutarsi in realtà. Attraverso le ombre di fantasmi la Wharton descrive il mondo diurno, spaventevole tanto quanto quello che scivola - a mezzanotte della vigilia del giorno dei Morti - su un lugubre viale ghiacciato da una nebbia tremenda.