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La "Gerusalemme liberata", composta da ben quindicimila endecasillabi e costata all'autore sedici anni di lavoro febbrile e di timori per la censura, è uno dei maggiori capolavori della letteratura italiana. Ambientato in Terrasanta ai tempi della I Crociata (1096-1099), il poema vede come protagonista principale Goffredo di Buglione - condottiero storicamente esistito - al comando di cavalieri valorosi e fedeli come Rinaldo e Tancredi. Gerusalemme, governata dal sovrano Aladino, è difesa a sua volta da prodi soldati, fra cui spiccano le due guerriere Argante e Clorinda.
In un tripudio di battaglie epiche, scontri magici e interventi demoniaci, il poema finisce col restituire non solo una storia meravigliosa e dal fascino eterno, ma anche l'affresco delle fantasie, delle pulsioni e delle paure di un grande poeta italiano come Torquato Tasso, costretto, suo malgrado, a misurarsi con l'arida temperie controriformistica della sua epoca.
Torquato Tasso (1544-1595) nasce a Sorrento dal poeta bergamasco Bernardo. Dopo aver vissuto a Napoli con la madre e le sorelle, attorno ai dieci anni raggiunge il padre a Roma. Educato alle dispute letterarie e alla vita di corte, trascorre anni di studio a Padova e a Bologna, rinunciando presto alla carriera giuridica per dedicarsi alla poesia. Nel 1565 si apre forse la parentesi più bella della sua vita, quando è ammesso alla corte ferrarese di Alfonso II d'Este: qui, infatti, comporrà le sue opere più famose, l'"Aminta" e la "Gerusalemme liberata". In un'epoca segnata dall'oscurantismo religioso - e forse in virtù di un disturbo psicologico mai precisato - il poeta inizia ben presto a manifestare segni di paranoia, rivolgendosi più volte, spontaneamente, all'Inquisizione. Rinchiuso per ben sette anni nell'ospedale di Sant'Anna, dal 1586 trascorre frenetici anni di viaggio, fino a quando, poco prima di ricevere l'incoronazione a poeta in Campidoglio, si ritira nel convento romano di Sant'Onofrio, dove muore a soli cinquantun anni.