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Due diverse concezioni della dimensione si sono, nel secolo scorso, contese il campo del pensiero architettonico e urbanistico, nel confronto con le grandi trasformazioni della città moderna e contemporanea: l'idea della Grande Dimensione e quella della Bigness. Dietro questi due paradigmi - di cui vengono qui ricostruite le decisive tappe teoriche e progettuali - si fronteggiano, in realtà, due diversi modi di concepire il ruolo del progetto e di intendere la responsabilità, da parte di architetti e urbanisti, nella costruzione del mondo urbano. Dove la Bigness ha rappresentato il ripiegamento dell'architettura su un metro puramente quantitativo, operando di fatto la segregazione e la lobotomia dei fatti architettonici, delle esperienze e delle scale della progettazione, la Grande Dimensione è stato invece il tentativo di intendere le dimensioni urbane non più in termini semplicemente quantitativi, ma qualitativi, ossia in termini di relazione: dimensione vuol dire innanzitutto rapporto e misura, capacità di creare relazioni immateriali, piuttosto che egemonia. Con l'intento di chiarire quale sia il valore teorico e strumentale di tali attitudini del progetto, il libro apre una riflessione sulla città contemporanea, sulle sue relazioni all'interno di un territorio globale - quello che ImmanuelKant, nel 1784, intuì nella definizione di "mondo senza limiti ma limitato" - e sugli strumenti che il progetto possiede per affrontare la complessità delle trasformazioni antropiche. Il tutto trova sintesi in una domanda: il progetto è ancora mosso dalla volontà di indirizzare l'evoluzione urbana o è chiamato ad assecondare le trasformazioni in assenza di pensiero critico?