Scritto per aiutare i terapeuti a considerare le domande dei pazienti come un utile strumento per il lavoro clinico, "Cosa dovrei dire?" esplora i quesiti,... > Lire la suite
Scritto per aiutare i terapeuti a considerare le domande dei pazienti come un utile strumento per il lavoro clinico, "Cosa dovrei dire?" esplora i quesiti, alcuni espliciti altri taciti, che ciascun professionista prima o poi si sente porre dai propri pazienti. Linda Edelstein e Charles Waehler, autori del libro e terapeuti esperti, mostrano come le risposte alle domande dei pazienti possano plasmare un clima terapeutico che favorisce la scoperta e la crescita personale. Strutturato in capitoli tematici che raccolgono le domande e le risposte per ogni specifico argomento trattato, questo manuale è scritto in tono colloquiale ed è ricco di esempi personali tratti dall'esperienza decennale dei due terapeuti, spaziando dal tema della religione al sesso, dal denaro ai sogni. "Cosa dovrei dire?" propone come gestire domande spesso scomode o imbarazzanti per il terapeuta come ad esempio:. Lei prende appunti? Posso leggerli? (Capitolo 1, Le prime sedute). Mi scusi, sono in ritardo. Posso avere qualche minuto in più? (Capitolo 9, Confini). Non credo a questa stronzata della terapia. Lei cosa ne pensa? (Capitolo 3, Il processo terapeutico). Perché cambiare è così difficile? (Capitolo 4, Aspettative sul cambiamento). Parteciperà alla discussione della mia tesi di laurea? (Capitolo 20, Fuori dallo studio). Dove va in vacanza? (Capitolo 10, Domande personali). Ho dato il suo nominativo a un'amica che vuole intraprendere una terapia. La vedrà? (Capitolo 9, Confini). Dovrei pregare per i miei problemi? (Capitolo 12, Religione e spiritualità). Mi trova attraente? (Capitolo 11, Sessualità)Il potere della terapia risiede nella libertà che offre ai pazienti di parlare di qualsiasi argomento. Non deve stupire che i pazienti sorprendano i terapeuti con le proprie esperienze e con le domande che a volte pongono. "Cosa dovrei dire?" ci spiega come queste domande, a prescindere da quanto difficili o disarmanti sembrino, possano rappresentare un valido supporto al processo terapeutico piuttosto che un elemento di rottura della relazione paziente-terapeuta.